“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone è pubblicato da Einaudi nel 2022. È il racconto dell’indagine condotta dall’autrice alla ricerca della storia dei propri genitori biologici e delle motivazioni che li hanno spinti ad abbandonare la loro unica figlia, per poi compiere il gesto estremo di togliersi la vita.
Ci troviamo nell’Italia degli anni ’60, in un paesino del Molise. Mentre le grandi città sono nel pieno del boom economico, le piccole realtà di campagna vivono ancora nell’arretratezza e nel solco di regole coercitive e tradizioni obsolete. Calandrone ci porta nel cuore della sua personale e dolorosa vicenda, scavando a ritroso in quella che fu la vita di sua madre, Lucia Galante, morta suicida nel Tevere nel giugno 1965 insieme al suo compagno.
Sono stati indotti a questo gesto estremo dalla pressione che subiscono in quanto ricercati per adulterio, avendo abbandonato le rispettive dimore coniugali, e dalla conseguente emarginazione sociale che li rende ormai incapaci di mantenere sé stessi e la loro creatura. Non trovano la comprensione che la loro storia meriterebbe: Lucia fugge da una realtà di maltrattamenti e abusi da parte di un uomo che non ha mai voluto e dalla famiglia di lui, un uomo che è stata obbligata a sposare unicamente per interessi economici, trattata dal padre come moneta di scambio per ottenere un pezzo di terra, e trova in Giuseppe, molto più grande di lei, qualcuno che la salva. Lui ha moglie e figli, e gode, inizialmente, di un’ottima reputazione lavorativa che gli garantisce una situazione economica favorevole.
Tutto cambia quando i due decidono di unire le loro vite e trasferirsi nella Milano di quegli anni, nella speranza di allontanarsi dai pregiudizi di paese e di trovare più facilmente di che mantenersi. Si ritrovano così a condividere il destino di migliaia di meridionali immigrati che nutrono l’espansione industriale del boom con la loro miseria, sopravvivono ai margini di periferie grigie e fatiscenti e sopportano quotidianamente la diffidenza e il razzismo della gente del nord.
Quando, arrivata la bambina, la vita sembra davvero impossibile, i due fanno un viaggio a Roma e si lasciano inghiottire dalle acque del Tevere, dopo aver lasciato la piccola Maria Grazia, di otto mesi, nei pressi di Villa Borghese. Il giorno dopo, arriverà al giornale “L’unità” un biglietto in cui Lucia dice di aver lasciato sua figlia alla compassione di tutti, perché il suo amico non aveva mezzi per sostenerla. Maria Grazia verrà adottata da un dirigente del PCI, Giacomo Calandrone, e da sua moglie.
Dopo tanti anni dal tragico evento, l’autrice ricostruisce, anche con l’aiuto della figlia poco più che adolescente, la vicenda di sua madre, riuscendo a dar voce alla giovane Lucia che voleva, sopra ogni cosa, proteggere la sua bambina. Calandrone, come un’abile detective, guida il lettore dentro un’inchiesta meticolosa, condotta su testimonianze, documenti d’archivio, articoli di cronaca dell’epoca, scavando nel profondo della storia individuale di Giuseppe e Lucia e di lei stessa neonata.
Le vicende private dei protagonisti sono sapientemente incardinate all’interno di quelle dello Stato italiano di quegli anni, che sta ricostruendo sé stesso dopo il disastro della Seconda guerra mondiale. Storia particolare e Storia generale si intrecciano grazie ad alcune finestre di approfondimento che storicizzano e giustificano il comportamento dei protagonisti.
“Dove non mi hai portata” è un libro profondo e intimo, nonostante la struttura che molto lo avvicina alla cronaca, con citazione delle fonti, dei documenti, dei commenti della stampa eccetera. Sono pagine intense, caratterizzate da un ritmo narrativo incalzante e quasi ossessivo, che rispecchia l’intento assillante di uno scritto autobiografico che insegue la dolorosa ricostruzione di una drammatica vicenda familiare e personale: l’autrice, per mezzo della sua ostinazione di ricercatrice e grazie alla scrittura, sa riscattare la figura materna, liberandola dallo stigma sociale che l’ha affossata in vita. (“Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale. Scrivo questo libro per strappare alla terra l’odore di mia madre”).
“Dove non mi hai portata” è la storia di un amore in un’Italia in trasformazione, stanca della guerra ma non di misure coercitive, sospesa tra il miracolo economico e una mentalità ancora retriva. È un omaggio e un riconoscimento a una donna che, sfinita delle tante ingiustizie patite nel corso di una vita grama, compie, insieme all’uomo che ama, un atto di estrema cura e protezione affinché la sua bambina possa avere un futuro migliore del suo. Con una scrittura poetica, vibrante e suggestiva, Maria Grazia Calandrone, riesce a dare voce al non detto, indagando la storia dei suoi genitori e ripercorrendone ogni passo.
Una lettura intensa e complessa, sicuramente non per tutti, che coinvolge e colpisce; un linguaggio denso, colto, evocativo e preciso a un tempo; meno felice la seconda parte del libro, in particolare la minuziosa disamina delle motivazioni del gesto estremo e la confutazione delle ipotesi diverse dal suicidio, dove prevale il personale bisogno di verità rispetto all’armonia della narrazione, con appesantimento del ritmo.
“Dove non mi hai portata” è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo. È un libro ferocemente onesto, che racconta un tratto della storia nazionale e la vita interrotta di una donna. Calandrone restituisce alla propria madre naturale la comprensione e il commiato che non le furono resi in vita e ci parla di un’Italia che può apparire remota e invece non dista più di qualche decennio da noi. Una testimonianza colta eppure dolente, personale ma anche civile, che merita a mio avviso di essere letta.
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