Romanzo di formazione e ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento, La montagna incantata è ambientato nel sanatorio svizzero di Davos. Qui, nell’estate del 1907, il giovane Hans Castorp, ingegnere di Amburgo, giunge per far visita a un cugino malato, ma poi, malato a sua volta, vi soggiornerà a lungo. La “montagna incantata”, su cui sorge il sanatorio, è un luogo mitico, al di fuori del tempo, in cui tutto sembra possibile. Aperto all’avventura intellettuale, Castorp si immerge nel microcosmo di quell’istituzione totale, ed entra in contatto con tutte le correnti di pensiero dell’epoca, rappresentate dai vari personaggi che incontra: passa così attraverso la malattia, l’amore istintivo e prorompente per la vita, il razionalismo e la fiducia nella scienza e nel progresso, il pessimismo irrazionale. Castorp è un cavaliere indagatore, come il “puro folle” alla ricerca del Santo Graal e, in mezzo a tante forze contrastanti, può liberamente crescere e trovare il proprio equilibrio. È l’autore stesso a fornirci la giusta chiave di lettura: «Il Graal che egli, anche se non lo trova, intuisce nel suo sogno quasi mortale prima di essere trascinato dalla sua altezza nella catastrofe europea» (ovvero la Grande Guerra), disse Mann, parlando agli studenti di Princeton nel 1939, «è l’idea dell’uomo, la concezione di un’umanità futura, passata attraverso la più profonda conoscenza della malattia e della morte. Il Graal è un mistero, ma tale è anche l’umanità: poiché l’uomo stesso è un mistero, e ogni umanità è fondata sul rispetto del mistero umano… Fate il favore di leggere il libro sotto questo angolo visuale: troverete allora che cosa sia il Graal, il sapere, l’iniziazione, quel “supremo” che non solo l’ingenuo protagonista, ma anche il libro stesso va cercando.»
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