Fiori sopra l’inferno


“Fiori sopra l’inferno”, uscito per Longanesi nel 2018, è un thriller psicologico ambientato tra i boschi e le montagne di un angolo d’Italia tutto particolare, da sempre incrocio di strade, di storie e di popolazioni.

Travenì è un piccolo paese immaginario delle Dolomiti friulane, poco distante dal confine austriaco. Lontano dalla vita frenetica delle grandi città, è un borgo isolato e antico e la sua gente ha la diffidenza tipica di chi non è abituato agli estranei. In questa natura possente e sovrana, si muove, disinvolto, un piccolo branco di ragazzini, che del bosco inaccessibile ha fatto tana e rifugio, e che intreccia le proprie piccole storie con la trama principale del romanzo.

Poco lontano dal paese, un vecchio edificio in rovina giace nel silenzio e non ha perso la sua apparenza inquietante, legata a un passato sinistro. Più volte, nel tempo, ha cambiato la sua destinazione: residenza di caccia imperiale, comando nazista, orfanotrofio. La Scuola, lo chiamano tutti.

Una morte violenta ed efferata arriva a sconvolgere all’improvviso la tranquillità del paese. Macabri elementi di ritualità, nel modus operandi dell’assassino, lasciano pensare all’opera di un serial killer che, con ogni probabilità, colpirà di nuovo.

Del caso viene incaricata Teresa Battaglia, commissaria sessantenne dal carattere spigoloso e dai modi spicci. Fragile e malata, combatte prima di tutto contro sé stessa e contro il suo corpo, mentre le indagini riportano alla luce i segreti di una comunità isolata e il profilo di un assassino insolito, dotato di un istinto animale e di un’anima tormentata, in qualche modo vittima anche lui.

Teresa ha scoperto da poco i sintomi precoci della malattia di Alzheimer e teme di perdere la sua arma più preziosa, la sua mente acuta e allo stesso tempo empatica, che le permette di vedere ciò che gli altri non vedono e ha fatto di lei una profiler riconosciuta e stimata.

La affianca nelle indagini l’ispettore Massimo Marini, nuovo arrivato in squadra dalla lontana Sicilia, giovane dalle belle speranze, che non si lascia intimorire dal caratteraccio di lei e riesce a stabilire con Teresa una relazione positiva, fatta di rispetto dei ruoli, ma anche di stima reciproca e, in fondo in fondo, di qualcosa molto simile all’affetto.

Altri omicidi e altre efferatezze obbligheranno a scavare nei segreti della piccola comunità, fino al drammatico rapimento di un neonato, fatto che, da un lato, scagiona l’unico sospettato fin lì individuato e, dall’altro, avvia la vicenda verso il suo epilogo, mentre l’autrice accompagna il lettore in riflessioni sulla maternità, sull’infanzia negata, sull’orrore di una crescita in totale carenza d’amore.

Non sono un’appassionata di gialli e, di questo thriller, ho apprezzato particolarmente l’originalità del “contorno”: la ricostruzione di una realtà sociale chiusa e diffidente, la descrizione di un ambiente naturale pervasivo, che può essere rifugio ma anche pericolo, di cui l’uomo è soltanto ospite occasionale, i grandi temi esistenziali evocati, una protagonista originale.

Teresa Battaglia è un commissario donna che, per una volta, non risponde al banale cliché della bellona con la pistola, ma è, al contrario, una signora di una certa età, costretta a confrontarsi con la decadenza del suo corpo, profondamente ferita dalla vita, che pure sa fare, delle sue ferite, la spinta vitale verso il lavoro che ama, in cui è capace, che non vorrebbe lasciare. E nonostante sia ruvida e a volte insopportabile, la sua squadra la ama e la protegge, spesso proprio da sé stessa.

Va detto, a onor del vero, che proprio gli elementi di contorno della storia, che ho trovato più interessanti, sono gli stessi che a tratti appesantiscono la narrazione, in un difficile equilibrio tra la trama degli omicidi e dell’indagine e gli argomenti che la vicenda suggerisce, facendone oggetto di approfondimento.

Inoltre, nonostante lo sviluppo del racconto abbia una struttura lineare che segue la scoperta degli omicidi e l’andamento delle indagini, l’alternarsi di presente e passato, in particolare all’inizio del libro, con la storia dell’inquietante Scuola e di ciò che avveniva fra le sue mura, suggerisce al lettore una pista per la soluzione del caso, privilegiando evidentemente la comprensione, rispetto all’effetto sorpresa.

Dato però che, come ho detto, non sono un’appassionata di gialli, questi possibili elementi di criticità alla mia sensibilità di lettrice hanno tolto poco, lasciandomi di questo romanzo un’opinione certamente positiva. Meno bene, invece, la serie tv tratta dal romanzo; edulcorata e banalizzata rispetto al libro, con alcune modifiche importanti che, a mio parere, indeboliscono la storia, punta su una protagonista che, se non è la bellona tipica del poliziesco italiano, non è neppure la Teresa Battaglia raccontata da Ilaria Tuti, ma una Elena Sofia Ricci molto più accogliente e materna rispetto al commissario del libro e peraltro del tutto priva del caratteristico caschetto di capelli rossi.

Tornando al romanzo, un thriller un po’ noir, con una forte presenza dell’ambiente naturale e una grande capacità evocativa di tematiche profondamente umane, sondate con sensibilità molto femminile, quali le relazioni fra le persone, la maternità negata e vissuta, la protezione dell’infanzia, l’empatia verso i sofferenti, la difficile accettazione del proprio declino, una certa ruvida tenerezza anche per il tempo che, inesorabile, passa.

Un giallo insolito, corposo e avvincente, per tutti quelli che, attorno agli immancabili omicidi, apprezzano di perdersi in qualche arzigogolo del pensiero.