Ferrovie del messico


La storia ha inizio ad Asti nel febbraio del 1944, nell’Italia povera, bombardata e sbandata dell’ultimo periodo della guerra; qui, Cesco Magetti presta servizio nella Guardia Nazionale Ferroviaria della Repubblica di Salò. Uso all’obbedienza, da soldato fascista se non eroico, certamente perbene, in una brutta giornata in cui è afflitto da un invincibile mal di denti, riceve un ordine inatteso e sorprendente: ricostruire la mappa dell’intera linea ferroviaria del Messico. Ignaro del tortuoso percorso gerarchico che l’ordine ha compiuto prima di capitargli addosso, è però informato dal suo diretto superiore che si tratta di cosa assai seria e della massima urgenza, dato che l’ordine ha avuto origine molto, molto in alto, ai massimi livelli tra le fila delle gerarchie naziste.

E il riassunto della trama potrebbe chiudersi qui, con l’avvertenza che già il suo inizio, con tanto di data precisa, verrà rapidamente sovvertito dalla narrazione che tutto fa, tranne garantire un ordine spazio-temporale delle vicende narrate. Al contrario, benché ogni capitolo si apra con indicazione del luogo e del tempo, il lettore comprenderà, chi prima chi poi, l’inutilità dello sforzo di ricostruire non solo una cronologia, ma anche una consequenzialità dei fatti che si dipanano, attorno alla scarna trama che abbiamo detto, con tale enciclopedica abbondanza e ridondanza di tempi, luoghi, storie, personaggi, invenzioni e stramberie, da creare nel lettore una sorta di ubriacatura, che non dà stordimento né nausea, ma genera stupore, curiosità e desiderio di voltare un’altra pagina, per vedere dove si va a parare in quel guazzabuglio che confonde la realtà con la più sfrenata e sfacciata fantasia.

Alla caotica sostanza si sposa l’originalità della forma: una lingua apparentemente informale, eppure ricchissima e variegata, tra linguaggio colloquiale e letterario, tra dialetto e poesia, in un’alternanza di stili e di suoni che mantengono viva la sorpresa, pagina dopo pagina, nel continuo riprendere e richiamare i diversi fili narrativi che costituiscono l’intreccio, ingarbugliato al punto che, così come è opinabile individuarne un inizio, analogamente potrebbe non darsene una fine, essendo, il gioco, quello di un accompagnamento a perdersi.

Parlare di questo libro è una sfida, perché, parlandone, inevitabilmente si tenta di individuare un ordine in cui inserire “Ferrovie del Messico”, tentativo destinato a fallire, dato che le vicende tragicomiche di Cesco e del fantasmagorico mondo che gli gira intorno sono davvero di difficile catalogazione.

La trama del romanzo sembra infatti espandersi disordinatamente attraverso digressioni che introducono nuove storie e personaggi. L’opera si caratterizza per continue aggiunte di piani narrativi e salti temporali che rendono impossibile, come s’è detto, ricostruire con precisione la cronologia degli eventi nonostante le indicazioni del luogo e della data poste all’inizio di ogni capitolo.

Il nucleo narrativo di questo romanzo corale è costituito dalle avventure del protagonista, Cesco Magetti che, come la parodia di un eroe ariostesco, nel tentativo di obbedire all’ordine ricevuto e di ricostruire la mappa delle ferrovie del Messico, si mette alla ricerca di un libro, di cui è autore tale Gustavo Adolfo Baz, che dovrebbe soccorrerlo nell’intento e, in quella ricerca, incontra ostacoli e prove da superare: un percorso di formazione che lo porta a vincere la sua iniziale ignavia e a scontrarsi contro le crudeli assurdità nazifascismo.

La coralità e l’enciclopedismo del romanzo si riflettono anche nella varietà dei registri linguistici adottati dall’autore, che crea una lingua letteraria capace di spaziare dall’italiano colto alle parlate regionali, dai lessici tecnici e specialistici al sardo logudorese.

“Ferrovie del Messico” è inoltre ricco di citazioni letterarie, più o meno esplicite, che si rifanno ai grandi modelli della letteratura universale, da Gadda a Joyce, dai poemi cavallereschi a Borges.

L’opera di Griffi è stata accostata al romanzo massimalista e postmoderno; del primo avrebbe la lunghezza e la corale polifonia, del secondo la destrutturazione, la meta-narrazione, la mescolanza di stili e una scrittura in cui tutto può essere riutilizzato sotto forma di citazione, di evocazione, di parodia. Di certo “Ferrovie del Messico” è un luogo in cui il lettore deve entrare e girare e forse anche perdersi; un luogo pieno di storie, di storie dentro le storie, di metastorie e di personaggi.

Con uno stile ironico e scanzonato, leggero e commovente, Griffi ci trasporta nel magico e disordinato mondo di Cesco, eroe romanzesco e contemporaneo che vaga per la città cercando qualcosa che forse neanche esiste, e al contempo riflette instancabilmente, si affligge, si interroga, si dà dello stupido e ama disperatamente senza essere ricambiato; di pratico, però, combina poco. Cesco è un inetto, e ciò che per lo Zeno Cosini di Italo Svevo era l’ultima sigaretta, per lui è il mal di denti, di cui soffre terribilmente senza potersene liberare, essendo terrorizzato dai dentisti.

Poi c’è la bella Tilde Giordano, stravagante e a tratti folle, imbevuta di letteratura, della quale Cesco si innamora perdutamente a prima vista, mettendo in ombra l’amore giovanile per Isotta, storica fidanzata. Nell’infruttuosa ricerca che lo muove come un paladino all’inseguimento del Sacro Graal, incontra Epa, cartografo samoano nelle cui mappe, oltre a colline, monti, fiumi e strade, compaiono pure le persone; e poi Steno, devotissimo fidanzato di Tilde; il sagittabondo Adolf Hitler e la compagna Eva Braun, impegnati, in un improbabile spaccato della loro vita di coppia, a discutere sull’eccesso di anglicismi; don Tiberio, prete di città confinato a Roccabianca per certe sue inconfessabili passioni; e Bardolf Graf, fanatico religioso dalla dubbia appartenenza, cattolico, ebreo, forse ateo o testimone di Geova, vizioso bibliofilo e detentore di testi rari; Ettore e Nicolao, informatissimi e misteriosi clienti fissi del night club segreto “L’Aquila agonizzante”; Edmondo Bo, frenatore e poeta, alcolista e oppiomane; una vecchia fattucchiera sarda che si fa pagare in fiori freschi, frutta, verdura, sigarette e soprattutto cioccolata, che ha il dono inutile di guarire solamente gente malvagia; e l’indimenticabile Angelito Zanon detto Lito, guardiano del cimitero di San Rocco, addetto alla bollitura dei cadaveri per conto degli odiati tedeschi, insieme all’inseparabile Mec il muto, suo sodale fin dai tempi in cui costruivano ferrovie in Sudamerica.

In questa girandola di figure e storie è del tutto smarrito il confine tra realtà e fantasia, mentre di continuo si aprono porte che danno accesso a nuove strade, eppure tutto si tiene, se accettiamo di abbandonarci alla lettura, fino a un quasi inatteso lieto fine, e un probabile nuovo inizio.

Non tutti i lettori apprezzano la frammentarietà della trama, le digressioni, la mancanza di un ordine spazio-temporale del racconto; ma, l’audacia di immergersi in questa nebulosa narrativa, è ripagata dal piacere di una lettura spassosa e commovente, giocosa e drammatica, mai banale, seria ma leggera, perché, per dirla con l’autore:

«Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta».