Avete digerito i pasti luculliani delle feste? Spero di sì, perché oggi vorrei scrivere di dolci.
Non sono esattamente una cuoca, e certamente non una chef né aspirante tale, anche se, a onor del vero, quando m’impegno non me la cavo poi così male in cucina, ma certo non ho il talento, né, soprattutto, la passione di mangiare e di prepararne.
Quanto al mangiare, credo dipenda dalla dimensione dei miei organi interni: troppo piccoli; mi sazio con poco e la pancia molto piena mi disturba, la vivo più come pesantezza che come piacevole soddisfazione, perciò la evito come la peste.
Quanto al cucinare, l’ingrediente che mi manca è la pazienza: la lunghezza delle preparazioni, l’attesa del risultato, i tempi di cottura, di lievitazione, di marinatura, e così via elencando, per me sono torture e, come noto, la gatta frettolosa fa i gattini ciechi.
Ciò premesso, non sono affatto indifferente al fascino della cucina, e ne apprezzo in particolare due aspetti: quello conviviale e quello estetico.
L’aspetto conviviale non si risolve soltanto nel piacere della classica cena in compagnia, pur gradevolissima, ma ha, a mio avviso, sfaccettature diverse, più sottili, come il ruolo che la cucina riveste nella vita di una famiglia, l’atmosfera che si crea, in una casa, quando fervono i lavori ai fornelli in previsione dei pranzi delle feste, come in questi giorni, o l’attenzione con cui si sceglie un piatto piuttosto che un altro, conoscendo i gusti dei propri invitati.
Quindi si tratta di un aspetto che ha davvero a che fare con le relazioni tra le persone, con i legami d’affetto e d’amore, ma anche con i costumi di una comunità intera e perciò con le tradizioni di un territorio, di cui diventa, da un punto di vista sociale, un elemento identitario.
Quanto all’estetica, la intendo come l’esperienza sensibile del bello e del buono, che significa una particolare percettività per la cura delle portate, per la presentazione dei piatti, per il profumo, per gli abbinamenti di sapori; insomma, frequentare buoni ristoranti che curino anche la tavola e il servizio non mi dispiace per niente.
Detto tutto questo, un’eccezione speciale la faccio per i dolci, che mi piace moltissimo preparare, annusare, assaggiare, guardare…perché cucinare dolci mi rasserena, mi fa entrare in un mondo bello e buono, mi riporta all’infanzia, mi sembra una magia.
Sarà il ricordo disneyano delle tre fatine della Bella addormentata nel bosco che, per preparare una torta senza uso di bacchette, fanno un pasticcio colossale, chissà, sta di fatto che cucinare dolci per me è sempre magico, o, se preferite un termine più moderno, terapeutico. In poche parole mi fa star bene.
Purtroppo nella mia famiglia i dolci non vanno un granché, specie quelli al cucchiaio che io trovo i più golosi; quanto al mio appetito, ho già detto, e, certo, non si può preparare un dolce per lasciarlo invecchiare come la mitica Luisona, pasta puramente ornamentale, destinata ad ammuffire nella bacheca coreografica del Bar Sport, fino all’improvvido consumo da parte di un ignaro rappresentante di passaggio, che troverà la giusta punizione nelle catastrofiche conseguenze digestive.
Così, per superare la frustrazione di aspirante produttrice di dolci, anni fa mi sono regalata un’enciclopedia in dodici volumi, stanziata orgogliosamente sulla mensola grande, in cucina: torte, crostate, cioccolato, biscotti, pasticcini, gelati, sorbetti, bavaresi, budini, creme, mousse e soufflé e persino i dolci delle feste.
Il piacere, in realtà, è soprattutto per gli occhi, più che per il palato, in quanto le preparazioni che ho sperimentato si contano sulle dita delle mani, ma le illustrazioni fotografiche sono invece molto frequentate. Non vi dico la meraviglia! Così perfette che ti viene l’acquolina. Se sono giù di morale, una sfogliatina al volume dei dolci al cucchiaio, il mio preferito, e mi sento già meglio.
Ogni tanto, però, passo all’azione e più spesso lo facevo quando i figli erano piccoli; perché fare dolci è davvero una magia e basta il profumo per cambiare faccia a una giornata storta: non c’è candela, diffusore, deodorante che tenga, neppure sofisticatissimo, la torta nel forno profuma la casa come nient’altro e insieme rasserena l’anima. Non so perché, ma funziona.
Se avete dei bambini e non sapete come tenerli occupati, preparate un dolce e teneteli con voi in cucina; potranno dare una mano con piccoli compiti, ma anche solo guardare basterà.
Ho una foto del mio secondogenito, così piccolo che poteva stare accucciato sul piano di marmo della cucina senza sbattere la testa nei pensili, che se ne sta incantato, con l’aria felice, a guardarmi mentre mescolo tutti gli ingredienti, come fossi una maga che prepara la pozione: zucchero, burro, cacao e si percepisce un’atmosfera di gioia calda, perfetta, una gioia semplice, casalinga, ma indimenticabile.
La torta era sempre la stessa, la preferita, la più amata, la torta al cioccolato, che oggi, per me, evoca, col suo soffice profumo, affetti, ricordi, pensieri, proprio come la madeleine di Proust, anche se il tempo non lo direi perduto, ma conservato nella memoria con profonda tenerezza.
É una torta adatta ai bambini, facile facile, a prova di cuoca modesta come me, eppure deliziosa.
Di seguito vi lascio la ricetta, come regalo della Befana.
Il misurino è il bicchierino dello yogurt.
- 1 yogurt alla banana
- 2 misurini di farina 00
- 2 misurini di zucchero
- 1 misurino di cacao amaro
- 1 misurino di burro sciolto (o olio di semi per farla più leggera)
- 3 uova
- 1 bustina di vanillina
- 1 bustina di lievito
Separare i tuorli dagli albumi e montarli a neve. Unire tutti gli ingredienti (a mano o nel robot), da ultimo aggiungere gli albumi montati a neve. Foderare di carta forno una tortiera (apribile è più comoda) e infornare a temperatura media per 35/40 minuti. Una volta sfornata, si può decorare con zucchero a velo o glassa al cioccolato, ma io la preferisco senza.
Buona Befana a tutti!
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