Abel


“Abel” è un western metafisico, il che vuol dire che le cose parlano di altro; così, tra la rude concretezza di un mondo tutto polvere, speroni, pistole e uomini d’acciaio, troviamo il richiamo alla ricerca spirituale del protagonista, alle vicende particolari della sua famiglia, a una storia d’amore che gli attraversa la vita, il tutto fuso in un racconto visionario che si mangia i contorni della struttura spazio-temporale e della linearità cronologica della narrazione.

Ha ventisette anni Abel Crow quando diventa leggenda, sventando una rapina grazie a un colpo detto “il Mistico”, che consiste nello sparare con due pistole simultaneamente contro obiettivi diversi. Quando incrocia le pistole, colpendo il bersaglio di sinistra con la destra e viceversa, disegna due segmenti perfetti, due traiettorie per cui non può esserci errore. Da suo padre e dal Maestro ha imparato a sparare e grazie alle pistole diventa sceriffo nel paese di un Ovest immaginario; sa che sparare con precisione millimetrica è l’essenza del suo essere, eppure, questa cosa non lo fa dormire.

Primo di sei figli, con un padre che se lo perde nel mezzo di una tempesta in una terra di nessuno, dopo la morte di lui vive insieme ai fratelli e alla madre, una donna forte, risoluta e un po’ selvaggia. Quando lei decide di andarsene via e abbandonare i figli, portando con sé quattro cavalli, Abel, che è il maggiore, si prende cura dei fratelli e della sorella, dapprima nella fattoria di famiglia e poi in città. L’infanzia del protagonista è segnata dalla presenza ingombrante e poi dall’assenza della madre, creatura inquieta e imprevedibile, con attenzioni incestuose verso i figli maschi. E lei non è tornata. Sarà lui che andrà a cercarla, sapendo che la sua vita è in pericolo. E sempre a lui toccherà salvarla.

Abel è innamorato di Hallelujah Wood, una donna che ha addosso una specie di mistero, cresciuta tra i Dakota, ha mani piccole e labbra orientali. Anche lei lo ama: ogni tanto parte senza che lui sappia dove va, ma torna sempre. Hallelujah sa guarire il corpo, mentre il signor Wood suo padre, un po’ medico e un po’ sciamano, prova a guarire la mente; lei mette a tacere molte delle inquietudini di Abel, e lo fa riflettere su quelle azioni che provocano dolore e sofferenza in chi gli sta vicino.

Un giorno, una bruja, una guaritrice dotata di poteri magici, gli fa una profezia: «Sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai». Le donne, nel romanzo, sono figure molto vivide e sembrano venire al mondo già sapendo tutto ciò che c’è da sapere sul passato e sul futuro: la bruja con una lunga cicatrice in mezzo ai seni, la madre selvaggia e fuggitiva, Doña Lupe dalla pelle bianca come l’avorio, Hallelujah che entra ed esce dalla vita di Abel senza chiedere permesso, la sorella Lilith che vede il futuro. Donne che non inseguono geometrie fatte di punti, ma si affidano alla corrente e guardano le figure più ampie, gli immensi pittogrammi che formano la realtà.

Abel ha imparato quel gesto di sparare e lo usa per ricomporre i pezzi, per indagare il suo destino, ma le pistole non sono il suo destino. “Abel” è un western perché ci sono le frontiere e si spara, ed è metafisico perché la frontiera è irraggiungibile e irrazionale, mentre sparare diventa un atto di vita, di libero respiro, di essenza di sé, la consapevolezza di avere un’anima. Sento una vibrazione, allora sparo.

Tra sogni quasi profetici, colpi di scena e un’impresa che potrebbe diventare memorabile, Alessandro Baricco porta avanti un romanzo onirico e visionario, in cui rintoccano interrogativi esistenziali, inquietudini e riflessioni sulla vita e sulla morte, sull’infinito, sull’amore, la delusione e la malattia, sul senso del proprio passaggio nel mondo. È un romanzo ma anche un saggio filosofico, in cui coesistono duelli e riflessioni, ironia e profondità, il tutto rappresentato con lo stile dell’autore, sempre elegante, unico, evocativo. Quello nel West immaginario di Abel, è un viaggio che lascia il segno.

“…Perché proprio il western, si dirà. Be’, non avevo tempo e voglia per edificare mondi, come faccio di solito, mi serviva qualcosa di pronto all’uso, e in questo senso i generi sono perfetti: una buona parte del materiale è già sul tavolo, i pezzi sono quelli, non devi fare altro che iniziare a giocare. E il western, di tutti i generi è quello che amo di più: forse perché contiene tutti gli altri, come alcuni dicono. Ma insomma, mi sono buttato da quella parte. Alla seconda riga c’era già uno sparo. Fantastico…”

Forse il più baricchiano dei libri di Baricco, non resterà privo di detrattori che lo vedranno come mero esercizio stilistico, come erudito divertissement da fine carriera,

come romanzo pretenzioso e vuoto, arricciando il naso sul protagonista pistolero e filosofo e su una trama sfrangiata in un intreccio che si fa beffe di tempi e luoghi.

A ben guardare, “Abel” potrebbe essere un resoconto di viaggio, ma è soprattutto un viaggio dentro di sé. Un percorso di rinascita, anzi, di nascita vera, che il protagonista intraprende grazie all’aiuto della bruja, una nativa che, senza averlo mai visto, già conosce il suo nome. Una storia che affida all’immaginazione del lettore il compito di proiettare gli avvenimenti in un mondo fatto di sabbia, saloon e pistole, perché ambientazione e descrizioni non stanno tanto tra le righe scritte, quanto nella mente di chi legge, che può dar forma al mondo abitato dai personaggi.

Questo libro è una bella notizia, il ritorno alla scrittura dell’autore dopo la malattia: e si avvertono senz’altro, nei passi metafisici e densi di filosofia, riflessioni da sopravvissuto; ma sembra anche il lascito più autentico della sua poetica, una capacità affabulatrice, unica, originale, che gioca con le parole, che sembra un canto, eppure resta diretta, ironica, spiazzante; un libro che sicuramente vale la pena di leggere, se amate Baricco. Se invece non lo conoscete, meglio iniziare da titoli più facili, come Seta, Oceano mare, Castelli di rabbia e Novecento, il mio preferito.

“Ho preso quello che avevo scritto, gli ho limato addosso l’ombra di una forma, ho aggiunto qualche canto che dava armonia….

Chiaramente non era un libro finito. Ma, capii con assoluta chiarezza che non era un libro fatto per finire….

Contrariamente a quanto faccio talvolta nei miei romanzi, in Abel non ho scritto la parola Fine, nell’ultima pagina, in maiuscolo. Sapevo cosa sarebbe successo.

Il computer l’ho riaperto ben prima che uscissero le prime bozze di copertina. Mi venivano incontro altre scene. Ho ripreso a scrivere lento e di rado. Ho ripreso a respirare dal punto in cui mi ero interrotto. Il primo canto nuovo l’ho dedicato al dottor Wood: adoro il suo humor e la confusione con cui passa sulla terra. È quello che cura i pazzi. Ma insomma, chi leggerà capirà. Si troverà bene, con lui. Io ci passo insieme intere serate. Never ending book.”

Le citazioni in corsivo sono tratte da “Com’è nato Abel, il mio western metafisico” – Alessandro Baricco – Repubblica – 7 novembre 2023