Chiaroscuro


Lo scorso Natale, qualcuno che mi vuole bene mi ha regalato un taccuino Moleskine a righe, formato large, copertina blu con elastico e annessa penna stilografica della stessa linea. Un bijoux. Un regalo graditissimo, per almeno due motivi, uno pratico e uno sentimentale.

Innanzi tutto, non è solo un dono materiale, ma, per me che amo scrivere, è un complimento implicito e un gesto di buon augurio, poiché (riporto dal sito) “Il taccuino Moleskine è l’erede e successore del taccuino leggendario usato da artisti e pensatori negli ultimi due secoli: tra loro, Vincent Van Gogh, Pablo Picasso, Ernest Hemingway e Bruce Chatwin.” (Certo, date queste premesse regalarmi un Moleskine potrebbe anche essere uno spietato sfottò, ma non voglio crederlo…a Natale si è tutti più buoni.)

Non approfondiamo e torniamo ai motivi del mio apprezzamento. Come tutti, da tempo sono abituata alle tastiere ma, forse per ragioni anagrafiche, il digitale, per me, non è buono per tutto; carta e penna mi sono indispensabili per due funzioni essenziali: gli appunti e l’agenda. Perciò, dal punto di vista pratico, il Moleskine è una manna: l’agenda è quello che dice la parola (latina, gerundivo neutro plurale di agĕre che significa fare) ovvero le cose da fare e, per la verità, talvolta, almeno per le mie abitudini, anche quelle già fatte di cui è utile tenere traccia, e poi gli appuntamenti e i promemoria (memo se preferite, insomma quelli).

Gli appunti, invece, sono un pasticcio molto personale e illeggibile per chiunque che non sia io stessa, un coacervo che include l’idea del momento, la citazione che mi piace, una parola o una frase che mi hanno colpito e voglio segnare, il soggetto di qualcosa che forse scriverò o che mi è comparso alla mente mentre camminavo.

Sì, perché io ho la camminata creativa. Sono di indole inquieta e il movimento mi è necessario, perciò, meteo permettendo, cammino: vuol dire che mi metto in tenuta sportiva e scarpe da walking e faccio mezz’ora, quaranta minuti di camminata veloce nell’anello ciclo-podistico che il Comune ha avuto la magnifica idea di realizzare proprio dietro casa mia; a me la camminata porta ispirazione, quindi, quando cammino, io con la mente scrivo.

All’inizio mi portavo le cuffiette e ascoltavo musica, ma ho scoperto che il movimento rende fertile la mia fantasia e perciò, di solito, mentre marcio, non solo mi vengono le idee, ma arrivano anche interi periodi già formati, a volte addirittura pagine, perciò io presto attenzione e “scrivo”. «Portati il registratore,» dice mio marito, con pragmatismo tecnologico tutto maschile, ma non funziona, perché non sono capace di recitare ad alta voce quel che mi passa in testa, se parlo m’inceppo, devo correggere, perfezionare, mentre pensare a parole è la mia natura, mi viene facile e, se non lascio passare troppo tempo, quando poi mi metto al PC, ciò che mi sono scritta nella testa viene fuori abbastanza fluido da poter essere trascritto. Ma sto divagando.

Come dicevo, carta e penna mi sono necessari per gli appunti e per l’agenda e questo è l’aspetto pratico; l’aspetto sentimentale, invece, tocca da un lato i ricordi, dall’altro il senso della scrittura manuale che, al giorno d’oggi, è invece vittima di una colpevole delegittimazione che non mi spiego.

Scrivere a mano allena la memoria, l’apprendimento e le facoltà visivo spaziali della nostra mente; aumenta la capacità di comprendere un contenuto e di elaborarlo, sviluppa la creatività e la motricità fine, l’attenzione e la concentrazione. Per non dire dell’esperienza emozionale che l’incontro con la scrittura rappresenta per un bambino che la affronta per le prime volte: concentrato su carta e penna, scopre e fa suo quel codice condiviso che gli permetterà di interpretare il mondo che lo circonda e di esprimere la propria interiorità nella forma non verbale più evoluta che conosciamo, che appartiene alla storia dell’uomo da tempo immemorabile.

La scrittura manuale ha a che fare anche con la bellezza; un bel quaderno ordinato e una bella grafia sono una via per conoscere e apprezzare l’armonia della forma e per imparare a realizzarla.

La mia maestra aveva una passione per il chiaroscuro, una tecnica che anticamente si realizzava con l’inchiostro o con la stilografica, più ardua da praticare con la normale penna a sfera, che consiste nel differenziare il tratto, più spesso e più sottile, seguendo la forma di ogni singola lettera. Roba da professionisti, ma cimentarsi a sei anni, lingua fra i denti, in un’operazione tanto ambiziosa, è un’esperienza che resta tra i ricordi.

I ragazzi oggi non sanno scrivere in corsivo, nella migliore delle ipotesi usano un misto di stampatello maiuscolo e minuscolo, tollerato dalla scuola non capisco perché, sospetto per rassegnazione. Certo, abbiamo le tastiere, ma una cosa non esclude necessariamente l’altra: come dire che, poiché esistono le calcolatrici, non importa se non sappiamo le tabelline.

Liberi di pensare che sia un discorso da vecchi, io sostengo invece che la diversificazione dei registri espressivi sia comunque un valore e che apprendere da piccoli (e conservare da grandi) la scrittura manuale in corsivo sia un’esperienza formativa a cui non dovremmo rinunciare.

Incompresa, mi consolo col Moleskine, il cui manifesto riporto di seguito condividendone ogni sillaba.

In Moleskine crediamo nel potere eterno della scrittura a mano, come espressione essenziale della civilizzazione, un atto potente per la rivelazione del genio umano e la promozione dello sviluppo e della condivisione delle competenze e della conoscenza.
La scrittura a mano è universale e allo stesso tempo fortemente personale. È il mezzo più intimo per esprimere il proprio vero io e connetterci agli altri in modo accessibile.
Prendi carta e penna e libera il tuo talento.