Cuore nero


Il teatro della storia è il borgo sperduto di Sassaia, con le sue quattro case arroccate, raggiungibile solo da una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. Sassaia è luogo di fuga per chi, come i due protagonisti, vuole nascondersi dalla realtà, per chi non accetta di potersi meritare ancora la vita. Per entrambi, dispersi tra le montagne, quel paese è un ritorno, un ricordo di innocenza e serenità, ma anche un utero di pietra in cui rendersi invisibili e credersi protetti.

Lui è Bruno, voce narrante, maestro elementare spezzato dalla vita, che si nasconde dietro l’apparenza trasandata di una barba incolta, incapace di desiderare un futuro; lui che il male l’ha subito, lui che è un sopravvissuto, un bambino diventato vecchio senza essere cresciuto, che si rotola nella sua solitudine, rifiutando qualsiasi relazione con gli altri.

Lei è Emilia, che il male lo ha fatto ed è una donna interrotta, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un’adolescente di trent’anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo; lei che ha pagato con anni di carcere minorile, assieme ad altre come lei, ribelli e fragili, sfrontate e spaventate, fatte di acciaio e di dolore, lei che ha imparato a tagliarsi per non sentire il rumore che ha dentro, lei che non sa più dormire da sola.

Emilia e Bruno sono due esseri segnati, che si puniscono per essere vivi, due cuori che si sono chiusi dentro la pietra nell’illusione di non essere feriti mai più. Usano la solitudine come un castigo, ma anche come uno scudo per non dover affrontare quello che il mondo ha in serbo per loro. Ciascuno intuisce nell’altro un abisso simile al proprio, così si riconoscono, si avvicinano e, pur con molte resistenze, si cullano nella parvenza di normalità di una relazione; ma l’istinto è quello di tacere il passato, di lasciarlo fuori, di lasciarlo indietro.

A intervallare il piano del presente, c’è il passato di Emilia in carcere: gli anni dell’adolescenza, quelli in cui si sperimentano i propri limiti, si scopre l’amore, il proprio corpo, si cerca un posto nel mondo. Gli anni che lei ha perduto, rimanendo fuori da tutto questo, immersa in un universo femminile stretto fra le regole ufficiali e quelle non dette, che permettono di sopravvivere. Lì ci sono state grandi amicizie, in particolare quella con Marta, con cui ha condiviso un pezzo di strada e, anche dopo, anche fuori, ha mantenuto un contatto. La possibilità di istruirsi, persino di prendere la laurea, durante la detenzione al carcere minorile, è stato, per le due giovani, un piccolo sprazzo di luce in anni cupi, pieni di sofferenza.

Emilia, dopo quindici anni dai fatti che le hanno segnato la vita, cerca a Sassaia, scenario immobile, lento e spopolato tra le montagne di Biella, un posto in cui sedare le conseguenze del suo passato drammatico e innominabile e in cui congelare, nel buio dei boschi e nel freddo della neve, la colpa, la vergogna, e il rifiuto degli altri, tutti, tranne suo padre, figura amorevole e di supporto incondizionato, un posto in cui sentirsi un poco meno indegna e illudersi di potersi riscattare.

Qui la sua solitudine si incontra con quella di Bruno, che, dopo l’incidente che l’ha reso orfano quand’era adolescente, non sa più vivere, schiacciato dall’incapacità di sentirsi ancora degno di futuro. Quasi mimetizzato nel paesaggio che ha scelto, silenzioso, ombroso, inscalfibile, forte come una quercia ma bisognoso di cure e amore, come tutti i luoghi del mondo, come tutti gli uomini del mondo.

Quando le loro vite s’incrociano, non è solo l’incontro tra due corpi, ma tra solitudini spaventate, esistenze difficili e rabbuiate da colpe profonde, mai scandagliate da altri. Hanno entrambi conosciuto il male, quello commesso e quello subito, e sono certi che la fuga sia la sola via possibile, per loro. S’innamorano, però, e questo cambia tutto. Ma ciascuno di loro nasconde una parte oscura, un irreparabile, come l’ha definito, in un’intervista, l’autrice stessa, una parte di sé che rimane inguaribile.

E l’istinto di sopravvivenza, insieme al desiderio di liberarsi, spinge Emilia a tacere il suo passato, ferendo così Bruno, del cui amore lei non si è fidata, fino alla rovinosa scoperta della verità, che getta entrambi indietro, nel baratro della disillusione e della rinuncia. Non però senza una speranza.

I personaggi di questo romanzo, Emilia, Bruno, Marta, Riccardo, Basilio, ma anche le comparse, sono ben costruiti, con stratificazioni di esperienze e di ricordi, che conferiscono loro credibilità umana, spessore letterario, abbondanza narrativa.

Questo libro, per la vicenda che narra e per i temi che affronta, si inserisce nel diffuso filone letterario italiano che mette al centro il nero della vita, ma va detto che la trama e la sua ambientazione hanno una originalità rara e la ricostruzione del carcere minorile di Bologna, delle ragazze internate, delle educatrici, assistenti sociali e psicologhe che vi operano e delle dinamiche che intercorrono tra tutte loro è davvero accurata e in grado di dipingere, con semplicità ma anche con efficacia sconcertante, uno scenario di assoluto realismo.

“Cuore nero” è un libro coraggioso, che affronta tematiche ostiche, davanti alle quali la maggioranza del pubblico preferisce voltarsi dall’altra parte, a maggior ragione se ad essere coinvolte sono giovani vite: la reclusione, la pena, la colpa, l’espiazione, il carcere, il male verso gli altri, la morte provocata, non sono argomenti facili. Al contrario, si tratta di tematiche spesso sbrigativamente liquidate, da chi grossolanamente trancia ogni considerazione umana verso i colpevoli e invita le autorità a “buttare le chiavi”, al fine di allontanare “il mostro” dalla vista e dalla vicinanza delle persone cosiddette perbene, che hanno bisogno di rassicurarsi al pensiero della propria assoluta estraneità, della mancanza di qualunque responsabilità.

Lo sguardo dell’autrice non fa sconti, ma non resta banalmente in superficie, al contrario, ci fa sprofondare nell’abisso assieme ai suoi personaggi, dando rilievo però anche alla possibilità si salvarsi, alla redenzione, ai valori famigliari, alla solidità dei sentimenti, l’amore, l’amicizia, la prospettiva di salvezza che sta nell’accettazione e nell’incontro con l’altro, nella necessità della solidarietà e della condivisione. Un ruolo importante è riconosciuto all’istruzione e allo studio, come riscatto e investimento sul futuro, omaggio a tutti gli operatori scolastici che quotidianamente varcano le doppie porte delle carceri per ricordare ai detenuti che possono essere non solo detenuti, ma anche studenti. Non manca infine un’attenzione particolare alla condizione di vittima indiretta: i parenti delle vittime e i parenti dei colpevoli. Avallone non si sottrae, e scandaglia con la sua scrittura tutti gli angoli bui che circondano un fatto di sangue e i suoi protagonisti.

Centrale in tutto il romanzo la riflessione sulla colpa e sul male, sulle fallaci sovrapposizioni, sulle distratte, superficiali e dolorose sicurezze del giudizio “mediatico”.

Certamente non sono temi che ammettano la leggerezza dello sguardo, tuttavia, se un appunto mi sento di fare su questa lettura, è quello della lunghezza; credo che maggior spazio al non detto, da un punto di vista letterario, avrebbe reso la narrazione più efficace; e, tuttavia, mi pare che l’intento dell’autrice sia proprio l’approfondimento dei vissuti dolorosi dei protagonisti e dei loro conati verso un’agognata normalità, e questo spiega la scelta di dilungarsi nei ricordi e nelle introspezioni.

La natura, infine, ha un proprio ruolo nel racconto e non è solo uno sfondo: Sassaia è un borgo immerso nella natura, dove le tv e i cellulari non prendono, dove la presenza umana è del tutto superflua, un’inutile casualità, cui la natura rimane indifferente, come nelle più famose opere di Leopardi: essa non guarda ciò che accade nel mondo e gli eventi che coinvolgono gli uomini, lei va avanti, seguendo le stagioni, libera, dominante, incontrastata e selvaggia.

Un contrasto vivido con i due protagonisti, che non sanno accettare il futuro che sta arrivando persino per loro. Ed è proprio in quel paese sperduto tra i monti, tra i castagni e i faggi, che queste due anime condannate scopriranno quanto sia in grado di salvare l’amore. Il male non passa, resta nella nostra vita e in quella degli altri, possiamo solo costruire, tutt’attorno a quel male, un nuovo bene, insieme agli altri, perché, alla fine, nessuno si salva da solo.