Rileggere un classico


“I miserabili” è un’opera ponderosa che ricopre un vasto arco di tempo, dal 1815 al 1832: ebbe enorme fortuna e divenne un punto di riferimento per il genere del romanzo sociale e umanitario dell’Ottocento. A sancirne l’immensa e immediata popolarità, il grande affresco della Francia postnapoleonica rappresentato dal punto di vista della gente comune e dei fatti quotidiani: una potente e colorita, talvolta retorica, interpretazione della sensibilità popolare. Il romanzo si compone di una moltitudine di personaggi, divenuti quasi emblematici: dai protagonisti principali alle figure più defilate che popolano i bassifondi di Parigi e le cui vite si intrecciano, inevitabilmente, con i grandi avvenimenti storici sullo sfondo. Una grandiosa commedia umana, un romanzo epico e visionario, scritto da un autore in lotta contro le ingiustizie della società. Le beffe del caso e gli imperativi del destino, la colpa e la redenzione, la sconfitta e il riscatto si incarnano in una galleria di personaggi esemplari, dallo sventurato Jean Valjean, appena uscito dal bagno penale, al generoso vescovo di Digne; da Fantine, donna di buon cuore e prostituta per necessità, al crudele poliziotto Javert, alla innocente Cosette, destinata al lieto fine. La chiave di lettura è esplicita e tragicamente attuale. «Finché esisterà, per opera di leggi e di costumi, una dannazione sociale che in piena civiltà crea artificialmente degli inferni e inquini di fatalità umana il destino, ch’è cosa divina: finché non saranno risolti i tre problemi del secolo, la degradazione dell’uomo nel proletariato, la decadenza della donna nella fame, l’atrofia dell’infanzia nelle tenebre; finché in talune regioni, sarà possibile l’asfissia sociale: in altri termini, e da un punto di vista ancora più vasto, finché ci saranno sulla terra ignoranza e miseria, libri della natura di questo potranno non essere inutili.»

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