Il desiderio di essere come tutti


Quel «TUTTI» del titolo, che campeggia in rosso in copertina, evoca il quotidiano L’Unità del 14 giugno 1984, ed è riferito a una piazza San Giovanni gremita all’inverosimile per i funerali di Enrico Berlinguer, mentre l’io narrante, ovvero l’autore, piangendo quella morte da una scomoda poltrona nella stanza da letto dei genitori, scopre come si possa partecipare di un sentimento comune anche rimanendo in disparte.

“Il desiderio di essere come tutti” è il vincitore del premio Strega 2014, ma non aspettatevi un romanzo. Piuttosto un’autobiografia romanzata o, meglio, la storia di una coscienza politica, che mi pare, tra tutte quelle possibili, la sintesi più azzeccata di questo libro: un lungo flusso di coscienza che attraversa e incorpora un pezzo di storia italiana.

Francesco nasce a Caserta in un giorno d’estate, quando prende coscienza del proprio far parte di qualcosa che va oltre la famiglia o gli amici di sempre, qualcosa di più grande e complesso. Ma nasce diverse altre volte: quando è al mare e scopre che le notizie sul dilagare del colera riguardano anche lui; quando un terremoto scuote l’Irpinia e lo travolge, mentre attraversa il salotto di casa. Nasce a Caserta quando Berlinguer muore, e la solitudine della stanza da letto dei suoi genitori lo induce a piangere per quella morte.

Soprattutto, nasce a nove anni, quando, per la prima volta, assistendo a una partita di calcio tra Germania Est e Germania Ovest, per i campionati Mondiali del 1974, il suo cuore di bambino prende a battere per il contendente povero, quello con le tute tristi che tutti davano per perdente prima del fischio d’inizio, comprendendo, così, che stare dalla parte dei più deboli e dei meno abbienti sarebbe diventato il suo sentire politico. Insomma, nasce a nove anni quando, improvvisamente, diventa comunista.

In fondo, una trama semplice, una profonda riflessione attraverso il racconto di un pezzo di vita e di storia italiana, vissuto da dentro, nella nativa Caserta e poi a Roma; come in un libro di memorie, l’autore indaga il rapporto di un ragazzino con la sua famiglia, il primo amore dalla coscienza politica piuttosto forte, la professione di scrittore, il giornalismo; e il ricordo di avvenimenti storici viene sapientemente intrecciato con scorci cinematografici, passi di letteratura, pezzi giornalistici, in un caleidoscopio di cronaca, politica, autocoscienza e riflessione sul senso della vita, accompagnato da una vena d’ironia quasi affettuosa per vicende e storie che ormai sono ricordi.

Una delle particolarità del libro, consiste nel descrivere un avvenimento o un modo di essere raccontando testi di altri autori, letture o suggestioni che arrivano dall’esterno. Per parlare di superficialità, per esempio, si fa riferimento a un racconto di Raymond Carver, “Con tanta di quell’acqua a due passi da casa”, e si racconta la trama. Per spiegare cosa significa ritirarsi in una sorta di estraneità a un regime, l’autore ricorre a un’altra splendida citazione, da “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera. Per raccontare dell’invadenza, dell’ingerenza nelle sue svariate forme, invece, richiama più volte il mito di Atteone che spia la nudità di Diana mentre fa il bagno, soggetto della famosa fontana della Reggia di Caserta, luogo che ritorna spesso nella narrazione.

A conferma che siamo davanti alla storia di una coscienza politica, il libro è diviso in due parti, una intitolata “La vita pura: io e Berlinguer”, la seconda dal titolo “La vita impura: io e Berlusconi”. Ma non immaginatevi un manifesto politico, né la semplice cronaca delle vicende del nostro paese; è soprattutto un romanzo di formazione, intesa come crescita individuale e passaggio dall’adolescenza all’età adulta di un ragazzo di Caserta, che attraversa le varie tappe di questo percorso e valuta il progressivo formarsi di opinioni, decisioni, modi di pensare, spinte verso certi comportamenti rispetto ad altri, sentimenti. Formazione basata sulle passioni che lo hanno sempre animato, e che lo accompagneranno da adulto, la politica, il calcio, la società, i libri, il divertimento con gli amici, la cultura.

Quella che viene raccontata è la storia della politica italiana dal 1964, anno di nascita dell’autore, fino agli anni Dieci del Duemila. Più precisamente è la storia della sinistra italiana, vissuta da chi ci ha creduto, ma quella che viene raccontata è una vicenda che riguarda tutta la nazione, vista attraverso gli occhi di un giovane che fa del proprio credo politico, e del proprio attivismo culturale, uno strumento con il quale rapportarsi alla vita sociale e agli altri.

 «A sedici anni la mia situazione era la seguente: a casa, se nominavo il Pci, ero considerato una specie di terrorista; fuori casa, se nominavo il Pci, ero considerato una specie di democristiano. Quindi, per un po’, ho smesso di parlarne». L’autore ripropone il clima degli anni della sua formazione politica, con quadretti in cui la quotidianità si mescola alla teoria e ai grandi ideali, attraverso lo sguardo e i desideri di un adolescente come gli altri.

Berlinguer occupa tanta parte del libro, come mito di rettitudine, visione e apertura al dialogo, irrimediabilmente perduti dopo la sua morte; ma anche come simbolo di un’intransigenza e di una “purezza” che, più avanti, hanno portato la sinistra ad arroccarsi, a chiudersi: da qui un dilemma su Berlinguer e sulla funzione della sinistra nel nostro paese. Ma per l’autore narrante, queste riflessioni hanno anche un risvolto esistenziale, e lo portano a interrogarsi sul suo bisogno di leggerezza e superficialità e sul senso del perdere.

La realtà della sconfitta di cui si parla, culmina con la ricostruzione del momento in cui Fausto Bertinotti fa cadere il governo di Romano Prodi, nel 1998. Per una cieca ostinazione nel percorrere la strada della purezza riconosciuta negli ultimi atti politici di Berlinguer, la sinistra italiana si chiama fuori da qualsiasi dialogo, nella strada della «purezza senza fertilità», riconsegnando il paese nelle mani di Berlusconi.

“Il desiderio di essere come tutti” ripercorre la delusione di un uomo di sinistra rispetto a questi avvenimenti politici, l’evoluzione del pensiero e delle proprie scelte di voto in seguito a certi scenari e ricostruisce gli ultimi decenni di storia del nostro paese, richiamando personalità politiche dello spessore di Berlinguer, di Pertini, di Moro e altri.

Non importa il colore politico: che la propria fede sia di destra o di sinistra, la lettura di questo libro può risultare fruttuosa, perché si tratta della storia della sinistra italiana raccontata da uno di sinistra, con le critiche, i ripensamenti e le autocritiche, soprattutto; offre inoltre una visione molto completa dell’aspetto culturale, sociale, storico e politico degli ultimi decenni, di cui ripercorre i fatti salienti, senza rinunciare a spunti di teoria politica. Una lettura non sempre leggera, ma indubbiamente anche istruttiva.

L’abilità dell’autore consiste nel calare i fatti della storia politica italiana, anche quelli drammatici, come il rapimento di Aldo Moro e la conseguente fine del dialogo tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, dentro la vita prima di un bambino, poi di un adolescente e infine di un uomo che, diversamente da altri più indifferenti, di quei fatti sente di far parte, perché quei fatti plasmano il suo modo di essere e il suo modo di rapportarsi agli altri.

Tra personaggi dello spettacolo, amici e fidanzate che accompagnano il racconto, un posto a parte spetta al padre, che ha un ruolo di confronto antagonista nei confronti del figlio, per la sua incapacità di comprendere il suo credo politico. Un padre che lo guarda con sgomento quando Jurgen Sparwasser fa un goal memorabile, durante la partita Germania Est Germania Ovest, e assiste incredulo alla gioia del figlio davanti alla vittoria della squadra sgangherata che ha la scritta DDR sulla casacca.

Dopo questa delusione, il genitore si distacca progressivamente da lui, sempre pronto a mostrargli i limiti delle sue convinzioni che non condivide; ma rimane pur sempre profondamente legato al destino del figlio, del quale conserva ogni articolo giornalistico, ritagliandolo con cura meticolosa e riponendolo tra i vestiti puliti. Rimane l’eco del suo disprezzo politico anche quando termina la condivisione della quotidianità; ma rimane l’apprezzamento dei successi del figlio, anche se, come accade a molti padri, è del tutto incapace di comunicarglielo.

“Il desiderio di essere come tutti” è una confessione solenne e pubblica di un uomo di sinistra. La delusione per non aver cambiato il mondo e le contraddizioni borghesi, a un certo punto della storia, ridimensionano fortemente i sentimenti privati del protagonista. La superficialità prende insomma il sopravvento e quel sogno politico fatto di giustizia, di uguaglianza, o come diceva Nanni Moretti “di civiltà”, non solo perde colpi ma si disperde in un vacuo intellettualismo, spianando così la strada al cinismo del nostro tempo.

Ma Francesco, in mezzo a tutto questo frastuono, trova l’ancora su cui aggrapparsi: Chesaràmai è il chiarissimo e affettuoso nomignolo di colei che alla fine gli ruba il cuore, e gli suggerisce un altro modo di stare al mondo: smetterla di farsi domande e vivere la vita con più spensieratezza, anche a costo di risultare impuro.

L’opera è accattivante e organica, scritta utilizzando un linguaggio semplice e chiaro, anche se talvolta ridondante: permette una lettura politica degli avvenimenti italiani degli ultimi decenni, attraverso il sentimento di chi ha creduto in un partito e in un ideale e ha finito con il vedere irrealizzate molte speranze della giovinezza.