“Le streghe di Lenzavacche” di Simona Lo Iacono, Edizioni e/o, 2016.
Nel 1600, in un paesino della Sicilia, un gruppo di donne sole, (mogli abbandonate, fanciulle gravide, figlie reiette o femmine semplicemente sfuggite a situazioni di emarginazione, violenza o degrado), si riunirono in una casa ai margini dell’abitato e iniziarono a condividere una vera esperienza comunitaria e anche letteraria, conducendo una vita quasi monacale. Furono però fraintese, bollate come folli, viste come corruttrici e istigatrici del demonio e denominate, appunto, streghe.
Secoli dopo, negli anni della dittatura fascista, incontriamo una strana famiglia senza uomini, composta dal piccolo Felice, sua madre Rosalba e la nonna Tilde, una famiglia che rivendica una misteriosa discendenza da quelle streghe perseguitate.
Protagonista della vicenda è il piccolo Felice, nato con una deformità fisica che gli impedisce di comunicare e di stare in piedi, infrazione vivente all’ostentato vitalismo del regime. Ma anche bambino vivace, intelligente e di ottimo carattere, a dispetto della vita menomata che gli tocca vivere. È figlio della grande passione tra Rosalba e l’arrotino che torna spesso a trovarla e che, scoprirà il lettore, non è chi sembrava, e, per questo motivo, non potrà restare accanto al figlio e alla donna che ama.
Appassionata di letture, Rosalba fa crescere Felice nel mondo delle storie inventate, visto che il mondo reale gli è precluso, mentre il farmacista Mussumeli, in combutta con nonna Tilde, costruisce strani marchingegni: uno che permette al piccolo di stare dritto, un altro che gli consente, attraverso la selezione di lettere mosse dallo sputo, di comporre parole e comunicare con gli altri.
Nella vita della famiglia compare un bel giorno il giovane maestro Alfredo Mancuso, incaricato presso la locale scuola elementare Maria Montessori; nonostante la sua migliore intenzione, l’insegnante perde quotidianamente allievi, a causa del suo balzano metodo d’insegnamento attraverso i racconti, invenzioni che hanno la colpa di suscitare la fantasia dei bambini e perciò sono invisi a un regime ottuso e conformista, che scambia la scuola per una caserma e interviene, con la sua grottesca censura, a stabilire cosa si può leggere e che cosa no. Ma, alla fine, inaspettatamente, la fantasia l’avrà vinta. Almeno per una volta.
La lettura mi ha colpito innanzi tutto per una ragione molto personale: il retaggio di streghe, un insegnante sui generis, donne libere che si ribellano al conformismo dominante e bambini diversi a cui garantire la scuola, sono gli argomenti che ho trattato nel mio ultimo romanzo, “Il dono di Iris”. Ovviamente la storia è tutt’altra e del tutto diversi sono il tempo e il luogo dell’ambientazione, ma la scoperta di questa assonanza di temi mi ha inevitabilmente incuriosito e piacevolmente intrattenuto.
“Le streghe di Lenzavacche” è un romanzo di rivalsa contro i pregiudizi, un racconto fieramente dalla parte degli irregolari, una storia avvincente e appassionata, di commozione e riscatto. La salvezza dell’umanità, si legge fra le righe, sta tutta nell’idea di una cultura che diviene atto creativo, teso a liberare l’animo da ogni preconcetto, nell’accettazione di noi stessi e degli altri, e capace di cogliere, nella diversità, ciò che non abbiamo.
La struttura del romanzo è molto originale: bellissima la prima parte, che vede l’alternarsi della storia di Felice con le lettere che il maestro invia a una misteriosa zia; la seconda parte, invece, che riporta un testamento risalente al diciassettesimo secolo e chiarisce il legame tra la vicenda delle antiche streghe e quella dei protagonisti, risulta narrativamente meno felice. In ogni caso, un romanzo con una forte personalità, che avvince e commuove, e una scrittura alta, raffinata, evocativa, non priva di suggestioni poetiche; da leggere assolutamente.
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