La Rete è probabilmente la rivoluzione più importante degli ultimi trent’anni e io, che per implacabili ragioni anagrafiche certamente non sono una nativa digitale, l’ho subito adorata: un oceano di informazioni, notizie, connessioni con luoghi e persone lontane, velocità di risposte, insomma una vera manna dal cielo per la mia curiosità.
Ma io sono nata nello scorso millennio e per me la Rete rimane un mezzo, non un fine, quindi è probabile che non riesca a cogliere del tutto il cambiamento dentro al quale viviamo e non posso evitare di vederne i limiti e le storture, anche se i mutamenti solitamente mi piacciono e sono consapevole che ogni tempo porta con sé i suoi.
Non che sia tutta colpa della Rete, ma il mondo mi sembra più brutto, a volte inquietante. Le relazioni umane si sono impoverite, spesso scomparse del tutto; le persone vogliono soprattutto apparire, inseguono il successo, anche effimero, in un delirio narcisistico diffuso che lascia un senso di vuoto e di solitudine. Chi non ce la fa sembra non avere gli strumenti per sopportare il fallimento.
Il denaro può tutto, ci sono individui più ricchi di stati, che possono manovrare strumenti capaci di orientare l’opinione di milioni di persone. Le democrazie stentano a sopravvivere, minacciate dalla protervia, quando non, purtroppo, dalla vera e propria violenza di stati che non riconoscono i diritti umani né quelli della convivenza civile. Il bene comune è un concetto obsoleto, la rettitudine una parola desueta e ridicola; così nel piccolo di una riunione di condominio, come nel grande della salute del pianeta. L’accaparramento a qualunque costo e l’imbarbarimento dei rapporti dilagano. Aumentano povertà, disuguaglianze, malessere psichico e rabbia.
Le persone sono sempre più incattivite e violente; conviviamo quotidianamente con orrori che rischiano di sembrarci normali, forse perché li abbiamo già visti in qualche serie TV. C’è qualcosa di tossico in tutto questo, di malato, di doloroso.
Sia ben chiaro che l’età dell’oro non è mai esistita e non c’è nessun passato da rimpiangere, ma provo l’immensa delusione e lo smarrimento di constatare come non si siano realizzate “le magnifiche sorti e progressive” vagheggiate ai tempi della scuola; al contrario, vedo intorno degrado, brutalità, rozzezza, dei modi, delle parole, del pensiero.
Forse è vero che c’è un tempo della vita in cui il mondo ci sembra irriconoscibile, ma voglio pensare che la cosa non sia irreversibile, voglio confidare nella forza di chi, con la propria opera, in ogni modo, contribuisce ad arginare questo brutto che avanza e voglio credere che ciascuno, anche nel suo piccolissimo, possa fare qualcosa.
Io amo le parole, ne ho in abbondanza e voglio condividerle.
Bellezza, gentilezza, grazia, discrezione, educazione, leggerezza, lentezza sono le mie parole chiave, ma anche ostinazione, fermezza, perseveranza e fiducia. Voglio gonfiarle di voce, sperando nell’eco che le moltiplichi e le faccia rimbalzare, contando che altri aggiungano le loro. Per un mondo meno arrabbiato. E più bello.
Non c’è nessuna pretesa accademica in ciò che scrivo, ma solo la proposta di un piccolo spazio di parole e pensieri, di riflessioni, idee e poesia, perché
“La poesia è il salvagente
cui mi aggrappo
quando tutto sembra svanire.
Quando il mio cuore gronda
per lo strazio delle parole che feriscono, dei silenzi che trascinano verso il precipizio.
Quando sono diventato così impenetrabile
che neanche l’aria
riesce a passare.”
(Khalil Gibran)
Auguro una piacevole sosta tra le parole ai viandanti della rete che passano di qui, e a tutti coloro che credono che il viaggio sia l’unica meta possibile.
“Viandante, sono le tue impronte
il cammino, e niente più,
viandante, non c’è cammino,
il cammino si fa camminando.
Camminando si fa il cammino,
e nel rivolger lo sguardo
ecco il sentiero che mai
si tornerà a rifare.
Viandante, non c’è cammino,
soltanto scie sul mare…”
(versi tratti da Viandante di Antonio Machado)
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