Rileggere un classico


Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, pubblicato nel 1890, non passa mai di moda; al contrario l’allure horror del quadro che invecchia al posto del sempre giovane e splendido protagonista, nonché il desiderio di sconfiggere la vecchiaia e la morte fino al punto di perdere l’anima, rendono l’opera eternamente attuale, come si addice a un vero classico. Tuttavia, poiché il ritratto di Dorian mostra non solo le ingiurie del tempo, ma anche quelle di una vita dissoluta e corrotta, che inesorabilmente scivola verso l’abominio del crimine, il rischio è che l’interpretazione più ovvia del romanzo, per noi moderni, riduca questo capolavoro, scritto da uno degli artisti più trasgressivi del suo tempo, in una sorta di apologo, o di operetta morale. Trovo più originale e più moderna la chiave di lettura suggerita dalla prefazione epigrammatica, in cui Wilde rivendica l’indipendenza dell’arte dalla morale, sostenendo che l’arte è lo specchio di chi la osserva, e solo coloro che sono in grado di scorgere le buone intenzioni nelle belle cose, sono spiriti raffinati per i quali c’è speranza. “L’artista è il creatore di cose belle…Un artista non ha inclinazioni etiche. Un’inclinazione etica in un artista è un imperdonabile manierismo stilistico…Tutta l’arte è al tempo stesso superficie e simbolo. Chi penetra la superficie lo fa a suo rischio e pericolo…” Tenendo conto di queste premesse, il romanzo acquista un respiro diverso, perciò ne consiglio la rilettura, senza saltare, per una volta, la prefazione.